Opera Preziosa

Miles Dewey Davis III (Alton, 26 maggio 1926Santa Monica, 28 settembre 1991) è stato uncompositore e trombettista statunitense jazz, considerato uno dei più influenti, innovativi ed originali musicisti del XX secolo.

È difficile non riconoscere a Davis un ruolo di innovatore e genio musicale. Dotato di uno stile inconfondibile ed una incomparabile gamma espressiva, per quasi trent’anni Miles Davis è stato una figura chiave del jazz e della musica popolare del XX secolo in generale. Dopo aver preso parte alla rivoluzione bebop, egli fu ideatore di numerosi stili jazz, fra cui il cool jazz, l’hard bop, ilmodal jazze il jazz elettrico o jazz-rock. Le sue registrazioni, assieme agli spettacoli dal vivo dei numerosi gruppi guidati da lui stesso, furono fondamentali per lo sviluppo artistico del jazz.

Miles Davis fu e resta famoso sia come strumentista dalle sonorità inconfondibilmente languide e melodiche, sia per il suo atteggiamento innovatore (peraltro mai esente da critiche), sia per la sua figura di personaggio pubblico. Fu il suo un caso abbastanza raro in campo jazzistico: fu infatti uno dei pochi jazzmen in grado di realizzare anche commercialmente il proprio potenziale artistico e forse l’ultimo ad avere anche un profilo di star dell’industria musicale. Una conferma della sua poliedrica personalità artistica fu la sua (postuma) ammissione, nel marzo 2006, allaRock and Roll Hall of Fame; un ulteriore riconoscimento di un talento che influenzò tutti i generi di musica popolare della seconda metà del XX secolo.

« Vedete, io ho vissuto per molto tempo nell’oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio… Credo che sia stato con Miles Davis, nel 1955, che ho cominciato a rendermi conto che avrei potuto fare qualcosa di più. »
(John Coltrane)

L’opera di capo orchestra di Davis è importante almeno quanto la musica che produsse in prima persona. I musicisti che lavorarono nelle sue formazioni, quando non toccarono l’apice della carriera al fianco di Miles, quasi invariabilmente raggiunsero sotto la sua guida la piena maturità e trovarono l’ispirazione per slanciarsi verso traguardi di valore assoluto.

Dotato di una personalità notoriamente laconica e difficile, spesso scontrosa, Davis era anche per questo chiamato il principe delle tenebre, soprannome che alludeva fra l’altro alla qualitànotturna di molta della sua musica. Questa immagine oscura era accentuata anche dalla sua voce roca e raschiante (Davis disse di essersi danneggiato la voce strillando contro un procuratore discografico pochi giorni dopo aver subito un’operazione alla laringe). Chi lo conobbe da vicino descrive una persona timida, gentile e spesso insicura, che utilizzava l’aggressività come difesa.

Miles nacque da una agiata famiglia afro-americana, figlio di Miles Davis II, un affermato dentista di St. Louis. Sua madre, Cleo Henry, una abile pianista, avrebbe voluto che imparasse il violino, ma, per il suo tredicesimo compleanno, suo padre gli regalò una tromba. Davis ne fu subito entusiasta e iniziò a studiare lo strumento con un maestro privato, un tedesco di nome Gustav, e con il direttore della banda del liceo che frequentava, Elwood Buchanan. Davis racconta che Buchanan non gli permetteva di suonare usando il vibrato (pare bacchettandolo sulle mani tutte le volte che lo faceva), nonostante allora fosse di moda, e attribuisce ai suoi consigli una delle caratteristiche del suo suono, sul quale ebbe anni dopo a dichiarare: “Preferisco un suono rotondo senza troppo carattere, una voce senza molto tremolo, vibrato o armonici gravi. Se non riesco ad ottenere un suono del genere non riesco a suonare”.

r show. » (IT)« “Miles, ormai è inutile che tu sprechi i pochi soldi che hai per comprare roba da sniffare, perché tanto starai male lo stesso. Sparatela, e vedrai che starai molto meglio”. Quello fu l’inizio di un film dell’orrore che durò quattro anni. »
(Miles Davis)

Gli inizi degli anni cinquanta sono il primo periodo di graduale sparizione dalle scene di Miles, che fu per diversi anni debilitato da una seria dipendenza dall’eroina contratta nel 1950. Suonando nei jazz club di New York, Davis frequentava spesso tossicodipendenti (molti dei quali musicisti come lui) e spacciatori di droga, e quindi le occasioni per avvicinarsi a quel mondo non gli mancavano di certo. Il pessimo esempio rappresentato da Bird, Powell ed altri protagonisti della scena bebop aveva portato amari frutti e molti dei giovani musicisti di punta di quel periodo, inclusi gli amici del circolo di Davis, erano tossicodipendenti. Non pochi avrebbero pagato questa condizione con la rovina personale e professionale, o addirittura con la vita.

Miles si accorse di non poter fare più a meno dell’eroina all’inizio del 1950. Nel corso dei quattro anni successivi egli avrebbe assistito alla morte del suo amico Fats Navarro, ottenuto denaro in prestito da tutti i suoi amici e conoscenti e sfruttato prostitute per poter acquistare l’eroina da cui dipendeva. A Los Angeles, mentre era in tour, fu arrestato per detenzione di droga. Tra il 1952 e il 1953 la sua dipendenza iniziò a nuocere alla sua capacità di suonare, e come se non bastasse divenne di pubblico dominio, con conseguenze catastrofiche sulle sue pubbliche relazioni. Accortosi della sua situazione precaria, Davis intraprese diversi tentativi di disintossicazione. Ebbe successo solo nel 1954, quando, tornato a St. Louis, riuscì a vincere la fase acuta della dipendenza con l’aiuto e l’incoraggiamento di suo padre[30]. In seguito, per evitare ricadute, si isolò completamente dal suo ambiente per diversi mesi: si tenne lontano dalla scena di New York e lavorò saltuariamente a Detroit e in club di altre città del Midwest, fino a che fu quasi completamente libero dalla tossicodipendenza.

Nonostante questi problemi, tra il 1950 e il 1954 Miles ebbe una copiosa produzione discografica e collaborò con molti importanti musicisti Venne anche in contatto con la musica del pianista di Philadelphia Ahmad Jamal, il cui uso dello spazio (così diverso dalla stile affollato preferito nel bebop) lo influenzò molto. Nel 1950 Davis aveva incontrato Bob Weinstock, della Prestige Records, con cui firmò un contratto. Negli anni tra il 1951 e il 1954  Miles Davis pubblicò una serie di album che consistevano di sessioni con formazioni la cui composizione è varia[33] e la cui qualità è tuttavia invariabilmente molto elevata. Sono di questo periodo gli album Dig, Blue Haze,Bags’ Groove, Miles Davis and the Modern Jazz Giants e Walkin’; altrettanto significative e fondamentali sono le incisioni per l’etichetta Blue Note, raccolte successivamente negli albumMiles Davis Volume 1 e Volume 2. Fu durante questi anni che Davis iniziò ad usare sistematicamente la sordina Harmon (tenuta molto vicino al microfono) che caratterizzerà il suo suono fino al periodo elettronico. Con queste incisioni Davis si segnalò come un musicista maturo e una personalità originale: in controtendenza rispetto al periodo e al nascente hard bop(di cui fu comunque l’architetto principale, assieme a Horace Silver), Miles tende a semplificare la musica e lasciar maggiore respiro agli strumenti. Il nuovo stile messo a punto dal trombettista è sobrio, profondo, intensamente lirico e sensuale, meditativo, attraversato da tensione e cupezza, con i silenzi e gli spazi fra le note chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nel valorizzare ed esaltare le atmosfere.

Davis fece ritorno a New York con un nuovo vigore, e formò quindi il suo primo quintetto stabile. In questo gruppo militavano John Coltrane al sax tenore, Red Garland al pianoforte,Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria. Il gruppo univa al recupero di brani tradizionali e di standard del periodo preboppistico, una rivisitazione in chiave più asciutta dei classici del bop.

Formatosi nel 1955, questo quintetto rappresentò una delle grandi formazioni dell’hard bop. Le quattro incisioni fondamentali del gruppo per la Prestige Records (gli album Relaxin’,Steamin’,Workin’ e Cookin’) saranno anche gli ultimi di Davis con questa casa di produzione. Negli stessi mesi, infatti, uscì il suo album d’esordio con la Columbia, ‘Round About Midnight, che rappresenta un’altra pietra miliare di quei fortunati anni.

In queste registrazioni Davis consolida il suo suono peculiare: limpido, privo di vibrato, molto spesso ammorbidito dall’uso di una sordina Harmon, su cui si innesta un fraseggio rilassato che enfatizza il registro medio dello strumento. Questa sonorità è così caratteristica da far classificare come “davisiano” ogni trombettista che vi si avvicini anche occasionalmente.

Furono anni fecondi anche per il suo sodalizio con Gil Evans, assieme al quale registrò una serie di album orchestrali di grande varietà e complessità, dando prova della sua padronanza dello strumento in tutti i contesti musicali. Nel primo album, Miles Ahead (1957), egli suona con unabig band jazz e con una sezione di corni magistralmente arrangiata da Evans. Questa formazione affronta temi jazz come The Duke di Dave Brubeck, così come il brano classico The Maids of Cadiz di Léo Delibes. Tutti i brani di Miles Aheadvengono fusi in un’unica suite da Gil Evans grazie alle sue originali, finissime tessiture orchestrali; Davis svolge il ruolo di unico solista.

« La musica è diventata densa. La gente mi dà dei pezzi e sono pieni d’accordi e io non li so suonare. Penso che nel jazz stia prendendo piede una tendenza ad allontanarsi dal giro convenzionale degli accordi, e una rinnovata enfasi sulle variazioni melodiche, piuttosto che armoniche. Ci saranno meno accordi ma infinite possibilità su cosa farne. »
(Miles Davis)

 

Nel marzo del 1959 Davis tornò in studio con un sestetto rimaneggiato (Garland e Jones avevano ormai ufficializzato la separazione). C’erano Coltrane, Adderley e Chambers,Jimmy Cobb alla batteria e Bill Evans si alternava al piano con Wynton Kelly. Da quella seduta sarebbe nato l’album considerato il suo capolavoro. Registrato in appena due sessioni ed improvvisato dal gruppo sulle scheletriche strutture armoniche abbozzate da Davis ed Evans, Kind of Bluerivoluzionerà il jazz. Si tratta ancora una volta (dopo Birth of the cool) di un concept album o meglio un manifesto, che inaugura l’età del jazz modale. E ancora una volta, Miles impresse il suo marchio stilistico su idee che aveva raccolto altrove: l’elaborazione teorica proveniva, in gran parte, dagli scritti del pianista, compositore e musicologo George Russell (The lydian chromatic concept of tonal organization) che Bill Evans aveva già cominciato a mettere in pratica da qualche tempo. Lo stesso Davis aveva già iniziato a suonare in stile modale, come attesta il precedente album di studio Milestones (si ascolti il pezzo omonimo). Kind of Blue rappresenta l’occasione in cui tutte le componenti – teoria, composizione, metodo di lavoro, personalità ispirate – si fondono in un’opera compiuta.

A partire dal 1960 l’avanguardia del jazz fu rappresentata dai musicisti free, che seguivano il solco tracciato da Ornette Coleman con la sua “New Thing”. Davis si interessò brevemente del fenomeno, abbastanza per capire di non avere in esso nessun interesse. Nel corso degli anni la sua freddezza e il suo disinteresse (quando non la sua aperta ostilità) al fenomeno del free (se non ai musicisti che lo animarono) non fecero che crescere.

I motivi sono molteplici, e Davis non ne fece segreto. Il più epidermico fu la sua perdita di favore presso le élite intellettuali che si interessavano del jazz, e che lo avevano fino ad allora colmato di quell’attenzione che ora cominciavano a dedicare alle avanguardie. Bisogna ricordare che l’avvento del free sollevò un enorme clamore i cui motivi furono parzialmente extra-musicali, collegati alla forte componente ideologica di molti dei musicisti che del free furono protagonisti, in un momento in cui la società americana era particolarmente sensibile a questo tipo di motivazioni. Anche tra le file dei musicisti più tradizionali ci fu chi si pronunciò in maniera eccezionalmente entusiasta: John Lewis (che con il suo Modern Jazz Quartet si esibiva in frac richiamandosi alla tradizione classica europea) disse addirittura che la musica di Coleman era “L’unica cosa nuova che sia accaduta al jazz dai tempi del bop”.

Fosse stato solo per questo, probabilmente Miles, che aveva affrontato più di una rivoluzione musicale, avrebbe saputo digerire lo smacco. Più importanti erano i motivi artistici e ideologici. Dal punto di vista artistico, un musicista che aveva fatto del lirismo la sua cifra espressiva non poteva certo sposare il totale abbandono della forma e della struttura che erano il cavallo di battaglia delle avanguardie radicali del free: anche quando abbandonò le forme del jazz tradizionale, Davis lavorò sempre a partire da una struttura. In prospettiva si può affermare che in questo fu più lungimirante degli uomini di punta del free (Albert Ayler, Taylor, Shepp, Sanders per fare alcuni nomi) che, una volta liberatisi di ogni tipo di vincolo, non seppero indicare la via del ritorno e lasciarono che fossero altri a farlo.

Dal punto di vista ideologico, Davis ebbe a descrivere quel periodo come una macchinazione montata da critici bianchi a spese della musica nera, un modo per spingere in un vicolo cieco elitario e intellettualistico tutta una generazione di musicisti.

« Tutti cominciarono a dire che il jazz era morto. […] Penso che una parte della promozione del free tra i critici bianchi fosse intenzionale, perché molti di loro pensavano che gente come me stesse diventando troppo importante nell’industria. […] Dopo la promozione delle avanguardie, e dopo che il pubblico le ebbe abbandonate, quegli stessi critici le mollarono come una patata bollente. […] E all’improvviso tutti cominciarono a spingere la musica pop bianca. »
(Miles Davis)

 

« What they didn’t understand was that I wasn’t prepared to be a memory yet, wasn’t prepared to be listed only on Columbia’s so-called classical list.[…] I wanted to change course, had to change course for me to continue to believe in and love what I was playing. » (IT)« Non credo avessero capito che non mi sentivo pronto a diventare un ricordo e a entrare nel cosiddetto catalogo dei classici Columbia.[…]Volevo cambiare strada. Dovevo cambiare strada, se volevo continuare ad amare e a credere nella musica che facevo. »
(Miles Davis)

Miles Davis in concerto a Rio de Janeiro nel 1984

La transizione di Miles alla fusion fu, come hanno dimostrato recenti pubblicazioni di raccolte di materiale inedito, assai più graduale di quanto la discografia originale (in cui a Filles de Kilimanjaro segue immediatamente In a Silent Way) abbia lasciato supporre per molti anni.

Alla fine degli anni sessanta l’industria musicale attraversava un’importante trasformazione di scala dovuta tanto alle trasformazioni sociali e tecnologiche quanto all’ingresso di un’imponente massa di giovani nel mercato musicale[57]. Improvvisamente un disco che vendeva sessantamila copie, una media che Miles non aveva mai faticato a tenere, e che negli anni precedenti veniva considerato un discreto successo, divenne poco attraente rispetto ai volumi che potevano raggiungere le incisioni che si rivolgevano al pubblico giovanile.

In questo contesto il jazz non era più ritenuto commercialmente attraente dalle case discografiche: le spinte propulsive degli anni 1959-1960 erano esaurite; il jazz più sperimentale, poi, sembrava rivolto ad una fascia molto ristretta di appassionati, non sempre acquirenti abituali di dischi.

Un ulteriore ostacolo era (ed è) costituito dalla dimensione artigianale della produzione e della fruizione del jazz, che cozzava contro le necessità di un settore che guardava ormai a un tipo di produzione industriale da promuovere tramite eventi (soprattutto megaconcerti e festival).

Alla Columbia, Miles, i cui contratti erano ora considerati sproporzionati rispetto al suo profilo commerciale, fu messo sotto pressione dal nuovo presidente, Clive Davis, che aveva messo sotto contratto Sly Stone, i Chicago, e altri gruppi di successo. Questo non fece che rafforzare la sua decisione di continuare a mantenere il contatto col pubblico anche a costo di abbandonare molte delle caratteristiche di tutta la sua musica precedente (strumenti, tecniche compositive, metodi di produzione) e molto del suo pubblico tradizionale. In altre parole, Davis aveva ben chiaro che non avrebbe potuto riconquistare l’attenzione del pubblico continuando la vena postboppistica e che doveva in qualche modo partecipare alle innovazioni che erano state portate dal rock. Questa transizione richiedeva nuovi musicisti e, per la prima volta, anche nuovi strumenti. La musica a cui era interessato gli richiedeva di utilizzare strumenti elettrici, effetti elettronici, e, in studio, registrazioni multitraccia. Dal punto di vista delle influenze valsero le frequentazioni che Miles aveva intrapreso con artisti funk e rock come Sly & the Family Stone,James Brown e Jimi Hendrix: più tardi, in On the Corner si sarebbero rivelate anche influenze di compositori moderni comeKarlheinz Stockhausen.

Fu in questa atmosfera che nacquero i progetti per l’incisione di In a Silent Way e Bitches Brew, che, fondendo per la prima volta alla perfezione il jazz con il rock, posero le basi di un genere che sarà conosciuto semplicemente come fusion.

Davis iniziò a rimaneggiare la sua formazione inserendo, al posto di Ron Carter e dopo un breve intermezzo in cui ebbe come bassistaMiroslav Vitous, il giovane Dave Holland, al quale chiese di passare al basso elettrico. Più o meno nello stesso periodo, sia Hancock sia Williams cominciarono a volere una formazione propria. Davis incontrò Joe Zawinul, un pianista austriaco che suonava il piano elettrico nel gruppo di Cannonball Adderley, che assunse e che ebbe molta influenza sull’album In a silent way. Alla ricerca di un suono radicalmente diverso, Davis assunse anche il pianista Armando “Chick” Corea (che praticamente costrinse a suonare il piano Rhodes, come avrebbe fatto più tardi con Keith Jarrett), e cominciò a sperimentare una formazione con due bassisti (Carter, che alla fine lasciò perché non amava il basso elettrico, e Holland) e due pianoforti. Il giovane batterista Jack DeJohnette si unì al gruppo al posto di Williams.

John McLaughlin

Per l’incisione di In a Silent Way del febbraio 1969, Davis portò in studio Shorter, Hancock, Chick Corea, Joe Zawinul, Dave Holland, Tony Williams (preferendolo nell’occasione a DeJohnette) e un giovane chitarrista inglese presentatogli da Holland, John McLaughlin. La title track era una composizione di Zawinul, di cui Davis tenne la sola melodia, chiedendo ai musicisti di improvvisare tutto il resto a partire da quella. Questo fu il primo disco di Davis in cui la musica incisa consiste in una profonda rielaborazione della musica che fu effettivamente eseguita, come effetto di un corposo lavoro di postproduzione.

(EN)« What we did on Bitches Brew you couldn’t ever write down for an orchestra to play. That’s why I didn’t write it all out… » (IT)« Quello che suonammo per Bitches Brew, sarebbe impossibile scriverlo e farlo suonare ad un’orchestra, ed è per questo che non lo scrissi… »
(Miles Davis)

Per la sessione di Bitches Brew, Davis cita esplicitamente le influenze di pezzi come Country Joe and the Preacher di Adderley e Zawinul, e del musicista inglese Paul Buckmaster, che avrebbe invitato a partecipare alla produzione del disco. Davis replicò il copione già sperimentato per Kind of Blue e In a Silent Way, portando in studio solo semplici sequenze di due, tre accordi e indicazioni dinamiche e ritmiche, lasciando per il resto carta bianca all’intuizione dei musicisti (sotto la sua supervisione). L’organico era estremamente numeroso, specialmente per quello che riguardava la sezione ritmica. Davis disse a Teo Macero di occuparsi solo della registrazione e di non fermare mai il nastro nel corso della registrazione, che durò diversi giorni. La postproduzione e il lavoro di studio furono imponenti per l’epoca e per il genere musicale: si fece ricorso a modifiche (edits) e inserimento di loop, al punto che l’intera introduzione di Pharaoh’s Dance fu creata in studio.

La pubblicazione dell’album, col suo titolo shock (bitches brew significa letteralmente brodo (o sudore) di cagne: bitch è anche un modo volgare di indicare una donna nell’inglese afroamericano) e la sua copertina psichedelica, non passò inosservato.

Il ruolo di Teo Macero

Fino dal rilascio di “In a Silent Way” fu chiaro il ruolo di primo piano che aveva l’editing e la manipolazione in studio del materiale sonoro grezzo raccolto in sala di registrazione. Di questo processo Miles – come dichiara anche nell’autobiografia – si disinteressava quasi completamente, almeno da “Sketches of Spain” in poi. Questa circostanza fa comprendere quale sia stato il ruolo – largamente occulto – che assunse la figura del produttore Teo Macero nella produzione discografica del secondo Miles, fino al suo divorzio da Columbia. Lo stesso Macero ha ricostruito il suo metodo di lavoro in diverse interviste in cui in pratica reclama per se stesso il ruolo di coautore, se non di autore tout-court.

Secondo alcuni, Bitches Brew è l’album di jazz che ha venduto più copie: altri hanno contestato i dati, e alcuni hanno detto che non si tratta di jazz. Sicuramente fu il primo disco d’oro di Davis e vendette più di mezzo milione di copie, proiettando Miles tra le stelle della scena rock, con i quali, subito dopo, Miles iniziò a partecipare ai grandi concerti allora in voga (a partire dal concerto al Fillmore di San Francisco con i Grateful Dead). Partecipò anche a concerti con Carlos Santana e la Steve Miller Band, accettando ingaggi ridotti pur di poter prendere parte a questo tipo di eventi. Tra gli appassionati di jazz, furono molti ad accusare Davis di essersi venduto, e i suoi accresciuti guadagni furono indicati come prova.

(EN)« When I started changing so fast like that, a lot of critics started putting me down because they didn’t understand what I was doing. But critics never did mean much to me, so I just kept on doing what I had been doing, trying to grow as a musician. » (IT)« Quando cominciai a cambiare così velocemente, molti critici mi stroncarono perché non capivano cosa stessi facendo. Ma i critici non hanno mai avuto molta importanza per me, e continuai per la mia strada, cercando di crescere come musicista. »
(Miles Davis)

 

L’album On the Corner del 1972, prodotto da questa ricerca, dimostra una disinvolta padronanza del funk che tuttavia non sacrifica le sfumature ritmiche, melodiche e armoniche, che costituivano da sempre una delle caratteristiche della sua musica. In questo album sono evidenti le influenze del lavoro di studio di Paul Buckmaster e dell’ascolto di Stockhausen, soprattutto nell’intricato lavoro di sovraregistrazioni e rimaneggiamenti di postproduzione. Alle registrazioni presero parte anche Billy Cobham e il sassofonista Carlos Garnett.

L’album divise la critica, e la maggioranza lo stroncò. Nell’autobiografia, Davis attribuisce questo atteggiamento all’incapacità dei critici di incasellare l’album, e lamenta il fatto che la promozione di On the corner, effettuata “solo sulle stazioni radio tradizionali” non raggiunse il pubblico dei giovani afroamericani per cui era stato pensato. Miles lo riteneva “un disco per cui la mia gente potrebbe ricordarmi”.

Da On the Corner, emerse una formazione stabile di cui facevano parte Michael Henderson,Carlos Garnett e il percussionista James Mtume(della “Cellar Door band”), poi il chitarristaReggie Lucas, il tablista Badal Roy, il sitarista Khalil Balakrishna, e il batterista Al Foster. Nessuno di questi era un solista jazz di prima grandezza (molti avevano una carriera in altri generi musicali – tranne Foster che era già un apprezzato sideman e sarebbe rimasto con Davis molto a lungo) e la musica che producevano si concentrava sulla densità ritmica e la diversità timbrica piuttosto che sugli assoli individuali.

Questa formazione, che registrò alla Philharmonic Hall l’album In Concert del 1972, non durò, anche perché Miles non era completamente soddisfatto, e nel corso del 1973 abbandonò sitar e tabla, iniziò a suonare le tastiere egli stesso e aggiunse il chitarrista Pete Cosey. Questa nuova formazione durò circa un paio d’anni con l’aggiunta di Dave Liebman (flauto e sax) poi rimpiazzato da Sonny Fortune nel 1974.

(EN)« From 1975 until early 1980 I didn’t pick up my horn; for over four years, didn’t pick it up once. » (IT)« Dal 1975 all’inizio del 1980, non presi più in mano la tromba. Nemmeno una volta, per quattro anni. »
(Miles Davis)

Nel 1975 Miles era tormentato da diversi malanni: diabete, artrite (a causa della quale dovette farsi sostituire l’anca nel 1976), borsite, ulcera, problemi renali. Era depresso e aveva ricominciato a drogarsi (soprattutto cocaina, marijuana e narcotici) e beveva in maniera smisurata. I suoi concerti di quegli anni venivano regolarmente stroncati anche da critici che lo avevano sempre sostenuto. Nel 1975, al suo arrivo in Giappone per una tournée, Miles era sull’orlo del collasso fisico e mentale, e nemmeno la vodka e la cocaina riuscivano più a tenerlo in piedi.

(EN)« I knew I had to go someplace different from where I had been the last time I had played, but I also knew I couldn’t go back to the real old music, either. » (IT)« Sapevo che avrei dovuto dirigere la mia musica da dov’era l’ultima volta che avevo suonato, ma sapevo anche di non poter ritornare alla musica dei vecchi tempi. »
(Miles Davis)
« La musica a volte era… caotica. Penso che fosse dovuto anche alla droga, a quel tempo ne circolava tantissima nel mondo della musica »
(Bill Evans)

Miles nel corso della sua ultima apparizione al North Sea Jazz Festival nei Paesi Bassi

Miles Davis in una foto del 1984

(EN)« For me, the urgency to play and create music today is worse than when I started. » (IT)« La necessità che ho di suonare e creare musica è maggiore oggi di quando ero agli inizi »
(Miles Davis)

Tomba di Miles Davis al cimitero di Woodlawn (New York)

Miles Davis continuò a suonare incessantemente fino agli ultimi anni della sua vita, con formazioni in costante avvicendamento che videro fra l’altro Bob Berg al posto di Evans ai sassofoni. Gli ultimi concerti in Italia si sono tenuti a Roma, il 23 luglio del 1991, allo stadio Olimpico (dopo di lui suonò Pat Metheny) ed il 24 luglio 1991 in Piazza Giorgione a Castelfranco Veneto[74]. Le sue ultime due registrazioni, entrambe uscite postume, sono state l’album Doo-bop, dove per l’ennesima volta si avvicinava a un nuovo genere musicale, l’Acid jazz (un jazz che si mischia al suono funk e rap) e Miles & Quincy Live at Montreux, una collaborazione con Quincy Jones per il Montreux Jazz Festival del 1991 nelle quali Davis interpreta, per la prima volta dopo tre decenni, le musiche con gli arrangiamenti di Gil Evans tratte dagli album Miles Ahead,Porgy and Bess e Sketches of Spain.

Il 28 settembre 1991 un attacco di polmonite, a cui le complicazioni dovute al diabete fecero seguire due colpi apoplettici, lo stroncò all’età di 65 anni a Santa Monica, in California, poco dopo il suo ultimo concerto all’Hollywood Bowl. Ricoverato all’ospedale dopo il primo attacco, Miles si svegliò mentre i medici gli dicevano che avrebbero dovuto intubarlo. Egli si mise ad inveire contro di loro, intimandogli di lasciarlo stare. Il secondo attacco, che sopravvenne in quel momento, lo uccise.

In tutte le sue dichiarazioni Davis pose sempre un forte accento sull’aspetto stilistico della sua concezione della musica. Questa attenzione alla forma (o meglio all’aderenza della forma musicale alla situazione) non era comunque un segno di arido formalismo. In buona sostanza, Miles non aveva alcun dubbio che la musica dovesse fungere da veicolo di un’idea e, in ultima analisi, della personalità dell’interprete. Questo è in forte contrasto con il concetto alternativo (spesso non elaborato) di molti musicisti a lui contemporanei che sentivano di essere essi stessi il veicolo di una materia musicale di cui avevano un dominio abbastanza relativo. Questi mettono la musica al centro del loro pensiero creativo: Miles si concentra sul musicista e la sua idea.

Questo pensiero è evidente nel metodo (se tale si può chiamare) con cui egli assemblava i suoi gruppi. Ai musicisti in audizione era solito dare istruzioni scarne (a volte nessuna indicazione) e li assoggettava spesso a segnali contrastanti. Marcus Miller racconta che al loro primo incontro Davis gli disse di accompagnare un pezzo suonando solo Fa# e Fa. Quando il bassista eseguì, Miles interruppe l’esecuzione chiedendo “Ma che fai? Suoni solo Fa# e Fa?” Miller reagì suonando sul secondo take una linea estremamente complessa, ancora interrotta da Davis “Cos’è questa roba? Ti ho detto di suonare Fa# e Fa”. “Allora – dice Miller – capii che stava giocando con me, e nel terzo take suonai il brano come pensavo fosse giusto. E non ci furono più interruzioni”. Chi superava questo tipo di prova del fuoco, e dimostrava di essere in sintonia con l’idea musicale di Miles, godeva della sua totale fiducia e della più ampia libertà espressiva (dimostrata dai diversi progetti, da Kind of Blue a In a Silent Way a Bitches Brew costruiti a partire da schizzi musicali che servivano da traccia per la composizione estemporanea dei membri del gruppo).

I gruppi di Davis, da Birth of the Cool in poi, furono sempre funzionali all’idea musicale che doveva essere espressa e costruiti in modo da avere una perfetta unità stilistica. Tanto più l’idea era definita nella mente del leader, tanto più il gruppo era coeso e organico (lo sfrangiarsi e il mutare rapidissimo delle formazioni degli anni prima del ritiro e di quelli seguenti sono, in quest’ottica, abbastanza significativi).

A rigore, nessuna delle rivoluzioni che sono accreditate a Miles nacquero da idee sue. Le idee diBirth of the Cool erano nell’aria anche al di fuori del gruppo dell’appartamento di Gil Evans, l’elaborazione teorica alla base della modalità era già pronta prima delle sedute di Kind of Blue e anche la nascita della fusion era, in fondo, la sintesi di idee che avevano già una certa circolazione. E tuttavia, è proprio nella sintesi e realizzazione di nuovi concetti musicali che l’intervento di Miles si mostra come una delle sue caratteristiche salienti e di maggior efficacia. Grazie al suo infallibile gusto nel creare un impianto stilistico adeguato al quadro concettuale, le sue esecuzioni diventano la pietra di paragone per chi lo vorrà seguire; il suo stile interpretativo detta legge all’intero genere.

Il periodo elettrico, e (forse ancora di più) gli ultimi anni furono, come si è visto nella biografia, particolarmente controversi. Alcuni dei contemporanei adorarono la musica prodotta dopo la svolta elettrica, altri la osteggiarono e lo accusarono di essersi venduto: di recente prevale un giudizio quasi uniformemente positivo, che può legittimamente essere sospettato di qualche deriva apologetica.

Ci sono molti aneddoti e particolari nella storia di Davis che si possono leggere nella pagina di Wikypedia, la stessa enciclopedia da dove ho tratto gli spunti per comporre questa pagina, la pagina è Storia di Miles Davis.

Tra tutte le opere ho scelto il concerto del 1986 A Montreux, anche per una ragione di copyright che è stato posto sulle sue opere più significative, questo concerto mette in risalto la leadership di Miles con i suoi orchestrali, ed è una rappresentativa carrellata di molti dei suoi successi.