Dopo 50 anni di attesa, parlo sotto il profilo strettamente personale, finalmente le leggi che si aspettavano da allora, e mi aspetto che si vadano a completare con la piena legalizzazione in modo che un consumatore non abbia più di che temere sotto il profilo legale, come del resto è naturale che sia. 50 anni fa si fumava ma bisognava stare molto attenti, anche se gli arresti allora erano molto pochi ma le pene erano severe, molto severe. Oggi, dopo che anche gli Stati Uniti si sono apertamente schierati a favore della legalizzazione, le cose sono già cambiate.
Coltivare sul terrazzo un numero limitato di piantine di marijuana, a determinate condizioni, in Italia non costituisce più reato. Almeno dal punto di vista penale, quindi, non si commette alcun illecito.
Dopo che l’Uruguay ha legalizzato completamente la marijuana, il cui uso ricreativo è stato recentemente consentito anche nello Stato di Washington e in Colorado, tanto che il New York Times si è apertamente schierato a favore della legalizzazione con un editoriale firmato da tutta la redazione e rivolto al governo federale, qualcosa sembra essersi mosso anche nel nostro Paese (guarda le foto).
LA SENTENZA DI CAGLIARI. Mentre l’oncologo Umberto Veronesi ha lanciatoun nuovo appello per la legalizzazione della cannabis attraverso il settimanaleL’Espresso, pochi giorni fa la Corte d’Appello di Cagliari ha depositato lemotivazioni della sentenza (leggi il documento), la prima di questo livello in Italia, con cui un quarantenne è stato assolto dall’accusa di coltivazione domestica di piante di canapa indiana.
«Una sentenza importante», ha commentato l’avvocato Giovanni Battista Gallus, che ha difeso l’imputato, «ma non è un ‘via libera’ alla coltivazione».
Il caso fa discutere l’opinione pubblica e pone alcuni interrogativi: come sta cambiando l’orientamento del sistema giudiziario italiano sul tema dell’uso e consumo di stupefacenti? A quali condizioni, e con quali conseguenze, è possibile nel nostro Paese produrre marijuana ‘fatta in casa’ per uso personale?
- Tre piantine di marijuana coltivate in vaso (© Getty Images).
Per capire meglio cosa si può e cosa non si può fare, bisogna partire dalla ricostruzione dei fatti. La vicenda che ha portato alla sentenza della Corte d’Appello di Cagliari è iniziata esattamente 7 anni fa, nell’agosto del 2007. I carabinieri arrestarono un uomo nel corso di una perquisizione, perché nel cortile della sua casa furono ritrovate due piante di cannabis alte 1.60 e 1.80 centimetri, contenute in due vasi di plastica all’interno di uno sgabuzzino.
CANNABIS SOLO PER USO PERSONALE. In casa non c’erano altre sostanze stupefacenti, e nemmeno oggetti comunemente utilizzati per lo spaccio e il confezionamento di dosi, come bustine e bilance di precisione. Né furono ritrovati dai militari attrezzi come luci, lampade e fari a led, usati per incrementare artificialmente la crescita delle piante.
L’arrestato raccontò agli inquirenti di aver piantato la marijuana a marzo di quell’anno, e disse che le piante erano destinate a una produzione «per mero uso personale», pur non avendo egli stesso «mai ancora tagliato le foglie».
ASSOLTO, CONDANNATO E POI DI NUOVO ASSOLTO. Assolto in primo grado dal Tribunale di Cagliari, l’uomo è stato condannato nel 2011 a sei mesi di carcere e 1400 euro di multa, dopo che la Cassazione, nel 2010, aveva annullato con rinvio la prima sentenza. Finché, a luglio 2014, la Corte d’Appello non lo ha dichiarato di nuovo innocente.
- La preparazione di uno spinello rollato a mano (© Getty Images).
Sara Turchetti, penalista e redattrice della rivista Diritto penale contemporaneo, spiega: «L’attuale assetto normativo prevede ancora, come condotta penalmente rilevante, la coltivazione di piante di marijuana. Non è nella sentenza della Corte costituzionale che ha abrogato la Fini-Giovanardi, o nella nuova legge 79/2014 che è stata introdotta una novità».
Cos’è successo allora? È successo che «le sentenze di assoluzione più recenti, quella di Cagliari ma anche altre della Corte di Cassazione, hanno ritenuto la coltivazione fino a tre piante non idonea a ledere il bene giuridico sotteso alla norma incriminatrice».
COLTIVARE FINO A TRE PIANTE NON È REATO. In altre parole, coltivare marijuana è ancora reato, «ma può non esserlo se la quantità di piante è talmente esigua da non esporre a pericolo la salute collettiva. Nel nostro ordinamento vige il principio di offensività, sancito dalla Costituzione all’articolo 25. Un fatto che non offenda il bene giuridico non è un fatto penalmente rilevante. Si tratta quindi di un orientamento della giurisprudenza, fondato sull’articolo 25 della Costituzione», ha precisato Turchetti.
I giudici, dunque, hanno finora ritenuto non penalmente rilevante la coltivazione in vaso fino a tre piantine di marijuana. Cosa succede però se si oltrepassa tale limite? «Fino a tre esemplari la Cassazione si è orientata in questo senso, mentre un caso del 2013, che riguardava la coltivazione di 43 piante, è stato giudicato penalmente rilevante. In mezzo ci può essere di tutto», ha ammesso Turchetti, «ma il criterio resta quello dell’offensività: quindi la quantità dev’essere minima».
DIPENDE ANCHE DAL THC. Il numero di piantine, però, non è l’unica variabile.
Come ha raccontato infatti l’avvocato Gallus, «nelle due piante coltivate dal mio assistito è stata accertata la presenza di Thc con percentuale media dello 0,5%, corrispondente a circa 38 dosi. Sembra una cifra alta, ma la percentuale di Thc era in realtà bassissima» rispetto alla ‘norma’, cioè alla cannabis generalmente fornita dal mercato dello spaccio.
Un aspetto sottolineato esplicitamente dalle motivazioni della sentenza d’Appello: «La marijuana che circola sul mercato clandestino contiene di solito tra l’1% e il 7% di Thc, ma il principio attivo può arrivare, negli ultimi tempi, anche al 30% […] due sole piante in grado di produrre poca marijuana che avrebbe rappresentato una goccia nel mare degli stupefacenti in circolazione e destinata verosimilmente al solo consumo del coltivatore, vanno ritenute insufficienti a costituire un effettivo pericolo, anche minimo, per la salute pubblica».
- Una foglia di marijuana appenna annaffiata (© Getty Images).
Attenzione però: anche nel caso di poche piantine (due o tre) con una bassa percentuale di principio attivo, coltivarle rappresenta pur sempre un illecito dal punto di vista amministrativo. «Le sanzioni amministrative scattano sempre», ha confermato l’avvocato Gallus, «e sono state a suo tempo comminate anche al mio cliente. Sono quelle previste dall’articolo 75 del Dpr 309: sospensione della patente, del porto d’armi, del passaporto, del permesso di soggiorno e del diritto di conseguirlo per il cittadino extracomunitario».
LA CESSIONE È SEMPRE ILLEGALE. In sintesi, secondo l’avvocato Gallus, è possibile affermare che, a determinate condizioni, «la coltivazione domestica di marijuana non è penalmente illecita. Condizioni individuate dalla Corte d’Appello di Cagliari: la coltivazione dev’essere rudimentale, senza artifizi che consentano di arrivare a una potenzialità drogante pari o comparabile a quella della marijuana ‘normalmente’ in commercio». Mentre rimarrebero penalmente illecite «tutte le condotte in cui fosse anche solo lontanamente ipotizzabile un’attività di cessione, anche a titolo gratuito: su quelle non si discute». Sul punto, però, non tutti la pensano allo stesso modo.
O FORSE NO. Secondo Turchetti, infatti, «facendo riferimento al bene giuridico tutelato dalla norma, non è solo la coltivazione di poche pianticelle che può essere penalmente irrilevante, ma anche la cessione o la detenzione per uso non esclusivamente personale. La detenzione o la cessione di una quantità modesta di marijuana, tale da non ledere il bene giuridico della salute collettiva, dalle sentenze più recenti della Corte di Cassazione (Renna 2010, Montrone 2011) è stata infatti considerata irrilevante sotto il profilo penale».
- Una pianta di marijuana coltivata indoor (© Getty Images).
La legge italiana non è cambiata
1) FINO A TRE PIANTINE NON È REATO. Secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza italiana, non costituisce reato la coltivazione domestica fino a tre piantine di marijuana, coltivate in vaso e senza utilizzare artifici tecnici finalizzati ad aumentarne ‘l’effetto drogante’ (lampade, fari a led, eccetera).
2) LA LEGGE NON È CAMBIATA. La legge non è cambiata (l’abrogazione recente della Fini-Giovanardi non c’entra nulla). Ma i giudici hanno ritenuto la condotta penalmente irrilevante nei casi in cui la quantità di marijuana sia inidonea a ledere il bene giuridico della salute pubblica, facendo riferimento all’articolo 25 della Costituzione.
3) RESTA L’ILLECITO AMMINISTRATIVO. La coltivazione domestica rimane comunque illecita dal punto di vista amministrativo. Si applicano le sanzioni previste dall’articolo 75 del Dpr 309: sospensione della patente, del porto d’armi, del passaporto, del permesso di soggiorno e del diritto di conseguirlo per il cittadino extracomunitario.
4) LA CESSIONE È REATO. MA CI SONO ECCEZIONI. Punto incerto: la cessione di una quantità modesta di marijuana, tale da non ledere il bene giuridico della salute collettiva, è un reato oppure no?
5) PERCENTUALE LIMITE DI THC, UN FATTORE DETERMINANTE. Qual è la percentuale di Thc che costituisce il discrimine tra una coltivazione penalmente irrilevante e una coltivazione penalmente rilevante? Le motivazioni della sentenza di Cagliari hanno richiamato la percentuale contenuta nella «marijuana che circola sul mercato clandestino», che «contiene di solito tra l’1% e il 7% di Thc, ma il principio attivo può arrivare, negli ultimi tempi, anche al 30%». Qual è dunque questo limite?